lunedì 17 settembre 2012

Pagina 2: 'Habibi' di Craig Thompson



Habibi è un termine arabo. Era già conosciuto nella lirica erotica medievale, poi usata anche da qualche poeta provenzale. È una parola tra le più dolci e affettuose. Non solo per il significato che vuol dire “mio amato”, ma anche per il suono. Pronunciarla sotto voce ricrea l’atmosfera di intimità tra due corpi che si abbracciano. Nell’abbraccio si incastrano alla perfezione, non c’è neanche bisogno di spostarsi perché si è inciampati nei capelli dell’altro o il braccio non ha trovato la sua giusta collocazione. No, non è necessario tutto questo. Si conoscono così bene tra di loro che non ne hanno bisogno.
Habibi diventa così il titolo dell’ultima impresa di Craig Thompson. Mi aveva già conquistato con Blankets, uscito nel 2003,la storia del primo amore di un ragazzo per Raina, che coinvolgeva aspetti della religione cristiana.
 Craig non è autore da poco, almeno secondo me, ma anche secondo molti altri, che lo definiscono tra i più bravi che abbiamo al momento.
Debuttò nel fumetto nel 1999 con il semi-autobiografico Addio Chunky Rice, che gli fu ispirato dal trasferimento a Portland e dai suoi autori preferiti di quand'era bambino: Jim Henson, Dr. Seuss e Tim Burton. Grazie a quest'opera Thompson vinse nel 2000 l'Harvey Award per la migliore opera prima e ricevette una nomination agli Ignatz Awards nella categoria artisti emergenti. Successivamente sviluppò due mini comics: Bible Doodles nel 2000 e Doot Doot Garden nel 2001.
Habibi è uscito a inizio novembre 2011 per Rizzoli Lizard. Thompson ci ha lavotato per sette  anni e in un’intervista lo ha definito “una specie di storia popolare araba”. Infatti è ambientato in un immaginario paese islamico dei nostri giorni,tra religione, miti, storie del Corano, e le caratteristiche della megalopoli moderna, affollata di gente che non si conosce tra di essa, rifiuti, caos, nuovi palazzi da costruire accanto alla povertà dei più deboli.
Nel suo blog l’autore ha scritto che in Habibi ha fatto con «l’Islam quel che ho fatto con il Cristianesimo in Blankets».

Anche Habibi come il precedente lavoro è lungo, molto lungo. Più di seicento pagine.
È un librone che pesa a prenderlo tra le mani. È un librone che pesa durante la sua lettura sulle tue gambe mentre te lo appoggi per riuscire a leggerlo la sera mentre sei sul letto. Ma quel peso ti avvolge. Ti tiene stretta tra le sue pagine e la sua storia che subito ti prende con sé. Sì, perché oltre al peso vero del libro, c’è anche il peso della storia che arriva e tocca le corde giuste del lettore e in questo Thompson è davvero molto bravo e abile.
La storia è il legame tra Dodola e Zam. Due bambini quando si conoscono che fuggono alla schiavitù e tentano di prendersi cura l’uno dell’altro, sacrificandosi. Il loro legame continua, come nei migliori romanzi sentimentali deve superare alcune prove e allontanamenti. Li vediamo crescere ognuno per la propria strada, ognuno con le proprie esperienze. Ma nessuno dei due si dimentica dell’altro nei più di dieci anni che ci vengono raccontati.  Rispetto a Blankets, Habibi è più complicato. La storia di Dodola e Zam si sovrappongono a quelle narrate da Dodola a Zam per tranquillizzarlo quando non riusciva a dormire (Dodola ha sei anni in più di Zam). E i salti temporali sono numerosi. Presente, Sacre Scritture, infanzia dei due protagonisti.

Spesso quando si legge una graphic novel, o romanzo a fumetti autoconclusivo, le immagini indeboliscono la storia. Non danno nulla in più, ma sviliscono. In Habibi invece è tutto il contrario. Per quanto io non sia esperta in questo campo, ma giudichi soltanto a sensazioni estetiche personali, le immagini hanno avuto la funzione di trattenermi maggiormente tra le pagine della storia. A volte, e non raramente, mi fermavo ad osservarle anche se non le parole scritte erano già terminate. Tentavo di leggere l’immagine.


La vicenda di Dodola e Zam è…come un colpo di fulmine. Ma un colpo di fulmine che fa anche male. Per il male non servono le parole, bastano quelle potentissime immagini della narrazione che Thompson inserisce nei punti cruciali. Le inserisce come se volesse fare un allacciamento con il nostro mondo, per dimostrare che la sua storia non è tutta fantasticheria sua. L’allacciamento avviene con le scene che ci mostrano la schiavitù, la vendita delle bambine a uomini per diventare le loro mogli, la prostituzione e le violenze.


La fine dalla storia invece serve per ripulire tutto questo male. Per mostraci il bene. La possibilità in più.
Chiudi il libro e vorresti rincominciare o vorresti che non fosse mai finita. Come se il libro fosse diventato il tuo habibi.
Io sono romantica. E instancabile. Questa storia è per i romantici, ma anche per chi non sa amare o non lo sa più fare. Per ritrovarsi, per fermarsi, per andare in un altro mondo per qualche ora.
Ovviamente non finisce qui, ma il resto…il resto è bello scoprirlo da soli, come sempre d’altronde.
Questo libro entra nei miei preferiti. Ed è difficile entrarci, sia chiaro.



 Sai quanto dolere può ispirare la pioggia?
Sai quante lacrime spargono le grondaie quando diluvia?
Sai quanto si sente perduta nella pioggia una persona sola?
Senza fine, come sangue versato, come gente affamata, come l'amore,
Come i bambini, come i morti, senza fine la pioggia.

("Canzone della poioggia" del poeta iracheno Badr Shakir Al-Sayab)

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